Lo scopo dello scrittore? Entrare in classifica.
C'erano una volta, nell'arte e anche in letteratura, le scuole di pensiero, le tendenze, gli «ismi»... C'erano i manifesti (Marinetti: «Noi siamo sul promontorio dei secoli») e i gruppi. C'erano le liti tra antichi e moderni; c'erano i nuovismi, dallo «stil novo» di Dante ai «novissimi» di Sanguineti & Co. C'erano «le eterne domande, le eterne risposte» (Beckett).
Oggi non c'è più niente di niente e va bene così: siamo moderni. Le scuole di pensiero, le idee nuove e le eterne domande non servono più. In quest'epoca post-ideologica e post-tutto si può fare letteratura senza avere un'idea di letteratura, si può fare arte senza avere un'idea di arte, si può fare politica senza un'idea di politica. Bastano i numeri, per tutto. Ci sono le elezioni (per la politica) le aste (per l'arte) le classifiche (per la letteratura).
Nessuno, oggi, si pone i problemi del perché scrivere e di come scrivere. Sono cambiati i tempi e anche le ragioni della scrittura. Il cavalier Marino, nel Seicento, diceva che lo scopo del poeta è stupire: chi non sapeva stupire, secondo lui doveva cambiare mestiere. Oggi lo scopo dello scrittore, come quello del politico, è entrare nel paradiso dei numeri. Del resto si è visto, che le eterne domande e le eterne risposte non portavano da nessuna parte. Che la ricerca del nuovo era una stupidaggine. La storia della letteratura diventerà la storia delle classifiche. Il mondo appartiene ai numeri.— Sebastiano Vassalli, Corriere della Sera, 21/10/2012
Hammerbrook - City can this really be true?
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